L’ESDEBITAZIONE FALLIMENATRE: DA CHI E IN CHE CASI PUO’ ESSERE RICHIESTA

L’esdebitazione è un istituto giuridico previsto dal nostro ordinamento.

Si tratta di un beneficio concesso all’imprenditore fallito avente ad oggetto la liberazione dai debiti residui dopo la chiusura del fallimento.

  • Normativa applicabile

A tal proposito, si precisa preliminarmente che la disciplina circa l’esdebitazione è dettata dagli artt. 142 ss. della Legge Fallimentare.

Tali disposizioni stabiliscono i requisiti ed i presupposti per godere di tale beneficio.

  • Requisito soggettivo

Dal punto di vista soggettivo, l’istituto è fruibile a certe condizioni solamente dagli imprenditori persone fisiche.

Per espressa previsione legislativa, dunque, l’istituto non è applicabile agli imprenditori operanti in forma societaria.

Per le imprese individuali sono, poi, richiesti da un lato un contegno attivo, ossia la prestazione di collaborazione a favore del curatore fallimentare e degli altri organi della procedura nel corso della stessa, e dall’altro lato un contegno omissivo, ossia la mancata sottoposizione a procedimento penale per fatti inerenti al fallimento.

  • Requisito oggettivo

Dal punto di vista oggettivo, la normativa circoscrive i debiti che possono essere estinti, prevedendo l’esclusione dal beneficio di talune tipologie di debiti.

In particolare, per l’art. 142, comma II Legge Fallimentare:

“Restano esclusi dall’esdebitazione:

  1. a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa;
  2. b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti”.

La ratio dell’esclusione stabilita dalla lettera a) della disposizione appena riportata è quella di circoscrivere l’operatività dell’istituto dell’esdebitazione ai debiti già oggetto di procedura concorsuale e di evitare ogni pregiudizio a crediti aventi natura personale

Quanto all’esclusione stabilita dalla lettera b) della disposizione sopra richiamata, la seconda parte, relativa alle “sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti”, comprende quei debiti che derivano dal compimento di fatti illeciti e, dunque, quelle obbligazioni aventi carattere sanzionatorio, in quanto derivano dalla violazione di norme.

Alla luce delle citate disposizioni, si tratta di comprendere se le esclusioni dall’esdebitazione riguardino o meno i debiti che molto spesso gli imprenditori individuali in crisi omettono di saldare nei confronti di enti previdenziali come l’INPS.

Quest’ultimo ente compare spesso tra i creditori che presentano insinuazione al passivo fallimentare per fare valere, tra l’altro, omissioni contributive poste in essere da imprenditori falliti.

Sul punto, bisogna preliminarmente osservare come in realtà i crediti vantati dall’INPS hanno varia natura.

Laddove il credito dell’INPS concerna contributi previdenziali omessi, è possibile avvalersi dell’esdebitazione, come ha recentemente riconosciuto la Corte di Cassazione.

Secondo la Suprema Corte, infatti, è “infondata la prospettazione avanzata in subordine dall’Inps, secondo cui il debito verso gli enti previdenziali rientrerebbe nei “rapporti estranei all’esercizio dell’impresa”, L. Fall., art. 142, comma 3, ex lett. a), atteso che il rapporto previdenziale sorge “in occasione” del rapporto di lavoro ed è estraneo ad ogni scelta imprenditoriale e comunque volontaristica del datore di lavoro. Ciò posto, si rileva che la modifica all’art. 142, comma 3, lett. a), introdotta dal correttivo (che dispone l’esclusione dall’esdebitazione per “gli obblighi di mantenimento ed alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa”) va nel senso di individuare l’area oggettiva dell’esclusione come relativa ai debiti personali non assunti per l’esercizio dell’impresa, ed anzi la formula adottata della “estraneità” priva di significato ogni tentativo di ricomprendere nell’ambito dell’esclusione i cd. debiti involontari; ed i debiti previdenziali di contro sono strettamente collegati all’esercizio dell’impresa, e della stessa costituiscono necessaria conseguenza” (in tal senso, si veda Cassazione civile sez. I, 11.03.2016, n.4844).

Qualora, invece, oltre ai contributi, l’INPS vanti crediti residui nei confronti della ditta individuale fallita per sanzioni elevate in conseguenza il mancato versamento dei contributi, queste ulteriori poste non possono essere estinte con l’istituto in esame, rientrando tra le sanzioni cui allude la lettera b) dell’art. 142, comma III Legge Fallimentare sopra richiamato e, dunque, tra le tipologie di debiti escluse dall’ambito di applicazione del beneficio.

Per poter comprendere la natura dei crediti residui dell’INPS, si avrà riguardo a quanto esposto dall’ente stesso nelle diffide successive alla chiusura del fallimento e, per una visione più completa, anche alla copia dello stato passivo dichiarato esecutivo con cui il Tribunale abbia ammesso al passivo fallimentare il credito dell’INPS, della domanda di insinuazione al passivo presentata dall’INPS e dei piani di riparto in forza del quale l’ente abbia eventualmente ricevuto una parte del proprio credito.

  • Termine per la proposizione dell’istanza

Il legislatore ha previsto un termine entro cui l’imprenditore possa presentare ricorso per ottenere la pronuncia del provvedimento di esdebitazione dal Tribunale.

Per l’art. 143 Legge Fallimentare, il Tribunale si pronuncia “con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo”.

Nessuna questione sorge laddove, prima della chiusura della procedura, sia chiesta dall’imprenditore l’esebitazione e detto provvedimento sia contenuto nel decreto di chiusura del fallimento.

Qualora ciò non avvenga, residua la possibilità stabilita dalla seconda parte della disposizione richiamata, secondo cui l’istanza può essere presentata anche successivamente e precisamente entro l’anno successivo dal decreto di chiusura del fallimento.

La disposizione non spicca per chiarezza espositiva.

La dottrina e la giurisprudenza intervenute sul punto si sono limitate ad affermare che la decorrenza dell’anno si ha non già dalla pronuncia del decreto di chiusura del fallimento, bensì dal momento in cui detto provvedimento diventa inoppugnabile, ossia quando il provvedimento di chiusura del fallimento diventa definitivo (per mancata proposizione del reclamo ovvero per rigetto di ogni mezzo di impugnazione proposto contro il decreto di chiusura).

Non vi sono, invece, sentenze che abbiano stabilito se il termine in parola debba intendersi nel senso che il ricorso per ottenere l’esdebitazione possa essere presentato entro lo spirare di dodici mesi dalla (definitività della) pronuncia del decreto di chiusura ovvero entro la conclusione dell’anno civile (ossia quello che va da gennaio a dicembre) che si apre dopo il medesimo momento.

E’ evidente la rilevanza della questione, posto che la seconda tesi consentirebbe all’imprenditore di disporre di un termine più ampio per presentare l’istanza.

Depone per la prima soluzione interpretativa, in base alla quale l’istanza va presentata entro dodici mesi dalla (definitività della) del decreto di chiusura del fallimento, un’interpretazione sistematica della disposizione in esame, alla luce delle regole che, nel codice civile e nel codice di procedura civile, disciplinano il computo dei termini.

Così l’art. 155, comma II c.p.c. stabilisce che i termini fissati in anni si calcolano secondo il calendario comune; analogamente prevede l’art. 2963 c.c. in punto di termini di prescrizione.

Sembra, invece, deporre per la seconda tesi interpretativa, secondo cui il termine verrebbe a scadere soltanto una volta spirato l’anno successivo a quello in cui si chiude definitivamente il fallimento la lettera della disposizione che non dice “entro un anno”, bensì “entro l’anno successivo”.

Ribadisco, tuttavia, che ad oggi non vi sono espresse pronunce giurisprudenziali che chiariscano la corretta portata della disposizione, consentendo di calcolare con certezza il termine.

  • Conclusioni

In conclusione, l’imprenditore individuale fallito può accedere al beneficio dell’ esdebitazione fallimentare, purché i debiti residui a suo carico non rientrino tra quelli esclusi dalla normativa vigente.

E’ dubbia la decorrenza del termine di decadenza per presentare tale istanza, pertanto, nel dubbio e laddove non ancora spirato, è preferibile adottare la soluzione più prudenziale, consistente nel presentare la relativa istanza entro dodici mesi dalla chiusura del fallimento.

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